domenica 10 novembre 2013

Critica dell'economia politica al tempo della globalizzazione

Di Franco Russo
 Premessa   
Questo mio contributo al Centro vuole essere un tentativo di rilancio dell’analisi delle nuove forme dell’accumulazione capitalistica a livello mondiale dopo il 1989 e quindi dopo la caduta dei “vecchi” compromessi nazionali capitale-lavoro.
Tutti noi dobbiamo comprendere che le bardature di cui ci siamo serviti nei decenni seguiti all’89 per resistere all’annientamento della cultura del Movimento Operaio, obiettivo dichiarato delle forze capitalistiche, utili per impedire il raggiungimento di tale obiettivo, costituiscono oggi un ostacolo per la comprensione delle specificità delle nuove forme di accumulazione capitalistiche e dunque per la ripresa delle lotte in attacco da parte del Movimento Operaio.
Oggi deve prevalere lo spirito di indagine ed il senso della sfida. Molti dei temi proposti nel programma del Centro sono stati già affrontati ed approfonditi in varie sedi, ma isolatamente, fuori dall’intreccio con gli altri e senza l’urgenza di ricostruire una teoria ed una tattica.
Penso che il precipitare della crisi ci imponga l’urgenza dell’indagine e la prudenza nelle conclusioni.
Il mio contributo sarà schematico, parziale, ma sarà un tentativo di trattare alcuni temi del Programma del Centro in modo dialettico, considerando tendenze e controtendenze in ogni processo di sviluppo delle nuove forme di accumulazione.
       Accumulazione capitalistica flessibile nel mondo  
La società trabocca di forza lavoro manuale ed intellettuale, ma se il capitale non trova modo di integrarla nel suo processo di valorizzazione ed accumulazione, essa rimane giacente ed inutilizzata.  
Il meccanismo dello sviluppo è inceppato già dalla crisi economica del ’73, ma oggi la crisi assume una valenza storica ed un carattere di sistema.
E’ importante comprendere che il capitale è un rapporto, un processo contraddittorio vivente tra comando d’impresa che possiede la proprietà dei mezzi di produzione ( capitale fisso ) e forza lavoro ( capitale variabile ) che consiste dell’insieme dei lavoratori plasmati continuamente dal comando d’impresa, lavoratori che spesso esprimono antagonismo nei confronti dello sfruttamento di cui sono oggetto.
In questo rapporto si sviluppa la riproduzione capitalistica alla ricerca di nuove frontiere, ma finendo per aggravare ulteriormente la crisi e l’antagonismo capitale-lavoro.   

Già nel corso degli anni ’70, contro il movimento operaio e popolare in lotta, il comando del capitale scatenò la guerra dell’innovazione tecnologica. 
Tale innovazione, oltre che il frutto naturale della competizione tra grandi imprese concorrenti, competizione che porta ciascuna di esse ad avvalersi dei progressi scientifici, ebbe lo scopo principale di espellere dai processi produttivi i lavoratori alla testa delle lotte.  
La contraddizione antagonistica tra capitale e lavoro ha generato incremento nella produttività grazie alle lotte, ma ha approfondito la crisi nel processo di valorizzazione del capitale.
Dopo aver ristrutturato le imprese e destrutturato l’organizzazione operaia e sociale, dopo la caduta del cosiddetto socialismo reale che ha reso possibile lo scioglimento di tutti i compromessi nazionali tra capitale e lavoro ed l’incedere tempestoso della concorrenza tra lavoratori sul piano continentale europeo e, tramite i processi migratori, su scala mondiale, il capitale impone la guerra ai salari come naturale legge economica del modo di produzione capitalistico in assenza di un monopolio che organizzi, come prima, l’offerta di lavoro e ciò conduce a bassi salari, alla semioccupazione per i giovani e dunque all’abbassamento generale delle condizioni di vita dei lavoratori.
Ma la politica dei bassi salari, come si intuisce, finisce per limitare la domanda aggregata di merci e servizi, creando una quantità enorme di capitali che non possono più rientrare nel processo produttivo generando la riproduzione allargata che servirebbe loro.
Di qui la necessità di “ creare “ prodotti finanziari che in campo borsistico, assicurativo e bancario “ simulino “questa crescita di accumulazione che non può verificarsi nella realtà ( cioè estraendo il profitto dal lavoro, perché il meccanismo dello sviluppo è inceppato ), ma questi prodotti, gonfiati ed opportunamente diffusi ai piccoli e medi risparmiatori, alla fine crollano al loro valore “vero” ristabilendo l’equilibrio economico reale.
Dal punto di vista dei grandi capitali, però, il gioco è valso la candela perché essi hanno espropriato i capitali dei piccoli e medi risparmiatori attraverso un raffinato, anche se rischioso, processo speculativo.
La massa dei grandi capitali, concentrata in poche migliaia di famiglie in tutto il mondo, aumentata a dismisura nella sua quantità dall’affermarsi nel mondo stesso della politica dei bassi salari, non può nel suo complesso continuare ad incrementarsi solo attraverso i “ raid “ finanziari.
I grandi capitali finanziari mondiali sono tendenzialmente apolidi, ma per poter agire in tutto il mondo, destabilizzando i vecchi equilibri, devono coniugare la loro insaziabile sete di crescere con il potere repressivo locale che deve garantire ad essi  la sicurezza degli investimenti dai rischi politici.
Questo fenomeno di globalizzazione in atto ha già abbattuto barriere economiche tra le nazioni e svuotato di importanti poteri le sovranità nazionali, dispone già di poteri economici, politici e militari sovranazionali, di fatto in relazione gerarchica fra di loro, poteri che hanno il compito di annettere tutto il pianeta al mercato mondiale attraverso lo strangolamento delle aree recalcitranti del mondo.
Le nazioni a capitalismo maturo non hanno tutte lo stesso peso economico e militare, sono in concorrenza tra loro, esprimono  sintesi antropologiche e culturali assai diverse.
Il combinato disposto di innovazione tecnologica, bassi salari, caduta dei compromessi capitale-lavoro, per l’irruenza della globalizzazione, mette in risalto l’ultima metamorfosi del capitale che si presenta come processo dell’accumulazione capitalistica flessibile.
L’impatto dovuto all’introduzione nell’industria e nei servizi delle tecnologie informatiche e telematiche;
la maggiore pressione competitiva dovuta alla globalizzazione;
l’introduzione di servizi connessi alla vendita di prodotti con sviluppo di versioni e modelli sempre più personalizzati;
la trasformazione per milioni di uomini del lavoro dipendente in lavoro precario flessibile
sono state le condizioni da cui è emersa una nuova figura di lavoratore: il  lavoratore della conoscenza.   
Il passaggio dall’economia delle merci materiali all’economia della conoscenza avvenuto negli ultimi decenni è stata l’opportunità che si è profilata agli imprenditori per accumulare ricchezza in modo flessibile e per dichiarare guerra ai salari.
La stessa produzione dei beni materiali, oggi rispetto al secolo scorso, non può più prescindere dall’uso nel ciclo produttivo di operazioni e beni immateriali, per non compromettere la qualità del risultato materiale finito.
Molti economisti sostengono che il capitale fisso della conoscenza, in larghe aree produttive, sostituisce i vecchi investimenti fatti di terra, macchine e capannoni.
La grande differenza tra l’economia della fabbrica fordista e l’economia della conoscenza consiste nel fatto che nella prima l’origine del profitto è solo nella quantità del lavoro salariato, mentre nella fabbrica della conoscenza l’origine del profitto è anche nella qualità del lavoro stesso.
L’informazione è l’essenziale della forza-lavoro, è ciò che l’operaio attraverso il capitale costante trasmette ai mezzi di produzione sulla base di valutazioni, misurazioni, elaborazioni per operare sull’oggetto di lavoro tutti quei mutamenti della sua forma che gli danno il valore d’uso richiesto. Il lavoro produttivo si definisce nella qualità delle informazioni elaborate e trasmesse dall’operaio ai mezzi di produzione, con la mediazione del capitale costanteIl codice digitale trasforma l’informazione in valore.   
All’inizio della rivoluzione industriale il capitalismo utilizzava la forza muscolare umana, l’energia meccanica posseduta dagli operai, ma, nel tempo, si accorse che gli operai con le loro microdecisioni creative e manutentive avevano accumulato un patrimonio di informazioni utilissime per migliorare il prodotto finale, ma soprattutto per suggerire modifiche alla stessa macchina industriale in uso nella fabbrica. Queste informazioni accumulate avevano un valore.
La cibernetica ricompone globalmente e organicamente le funzioni dell’operaio complessivo polverizzate nelle microdecisioni individuali : il ‘bit’ salda l’atomo operaio alle ‘cifre’ del ‘Piano’. 
Come si sa nell’economia si è definito il “ lavoro morto “ come il lavoro che è stato necessario impiegare per produrre un bene materiale. Il bene materiale finale disponibile all’uso è visto come contenente una certa quantità di lavoro non più in atto. Viceversa il “ lavoro vivo “  è il lavoro in atto che si svolge nel rapporto tra l’uomo e la macchina, o tra gli uomini; è l’attività che non è già oggettivata in un bene materiale.
Il lavoro vivo necessita di competenze specifiche per essere svolto all’interno di un particolare ciclo produttivo. Negli anni ’60, come sappiamo, si è sviluppata la scuola di massa, dunque possiamo dire che il corpo sociale ha accumulato un patrimonio di competenze cognitive non ancora oggettivato e/o non oggettivabile nelle macchine materiali esistenti.
Questo patrimonio di conoscenze, “ intelletto generale “, generato nei decenni ha assunto due forme : una parte del patrimonio di conoscenze è stata messa in atto per produrre delle macchine ed è stato ivi “ cristallizzato “, l’altra parte si è diffusa nel corpo sociale che è diventato una “ fabbrica-società “.
Ma se una parte dell’intelletto generale è cristallizzato in forma “ macchinica “, l’altra parte diffusa nella fabbrica-società deve contenere, almeno in parte, in forma potenziale “ qualcosa di macchinino “; un’ultima parte invece, almeno per ora, apparterrà alla tipologia non macchinina, ossia non oggettivabile in una macchina e, dunque, destinata ad esprimersi solo come lavoro vivo.
Nella società della conoscenza, che si è generata nell’epoca postfordista, una larga parte di lavoratori non può più essere considerata come costituita da “ animali da soma “ usati per produrre energia meccanica, o “ cavalli-vapore “, la distinzione tra capitale fisso, ossia le macchine, e capitale variabile, ossia i lavoratori, necessita, a causa della neonata economia della conoscenza, di una nuova definizione. Il decollo dell’economia della conoscenza negli ultimi 20 anni ha fatto perdere  importanza alle macchine materiali come strumento per produrre ricchezza.
Infatti con la nascita di evoluti software, ospitati all’interno della macchina fisica ( hardware ), sono nate delle vere e proprie “ macchine immateriali “ le quali consentono a tutte le conoscenze, ivi “ condensate “, di svolgere un ruolo imponente. Una parte della conoscenza è diventata “ macchina cognitiva “.
Ma se una parte dell’intelletto generale è diventato capitale fisso materiale, ossia l’hardware frutto delle conoscenze necessarie per progettarlo e produrlo, e immateriale, ossia la macchina cognitiva sviluppata grazie ad evoluti software, contenuto nel capitale fisso materiale hardware, un’altra parte di intelletto generale è diventato capitale fisso nel “ corpo dell’uomo “.     
Ma che cosa è il capitale fisso nel corpo dell’uomo?
Tale capitale fisso non è nulla di materiale, ma assume una forma fluida nel corpo del vivente.
Il corpo del vivente, cioè il lavoratore della conoscenza, oltre a contenere il lavoro vivo in potenza, ossia la facoltà del lavoro, contiene anche le funzioni che caratterizzano il capitale fisso come mezzo di produzione, le contiene in forma di lavoro morto nella mente e nella memoria, tale lavoro morto è la sedimentazione di conoscenze acquisite nel passato, di esperienze produttive, di arnesi concettuali codificati in memoria e pronti per essere usati nella soluzione di un problema nuovo attraverso l’uso della facoltà del lavoro vivo che, usando un combinato disposto delle varie sedimentazioni concettuali ( lavoro passato morto ), troverà nuove soluzioni per nuovi problemi.
Questo nuovo “ modo di produzione “ è quello oggi in uso nell’industria culturale, nelle società di software, nella scuola, nella sanità.
Questo è chiamato il “ biocapitalismo “ moderno o “ fabbrica del vivente “, essendoci nel vivente una parte di intelletto generale come capitale fisso. Dunque oggi una parte delle fonti macchiniche necessarie per fare profitto può essere esternalizzata nel corpo stesso dei lavoratori.  
Oggi la forza-lavoro vivente contiene in se stessa sia la funzione di capitale fisso che quella di capitale variabile, ossia, sia strumenti concettuali accumulati nel lavoro passato che lavoro vivo presente in atto quando il vivente è al lavoro.
Nel capitalismo cognitivo una parte del capitale fisso è assorbito nel capitale variabile forza-lavoro. Le macchine industriali centralizzavano in un territorio limitato alla fabbrica ciò che era sparso sul territorio come le manifatture, le macchine informatiche, oggi, deterritorializzano il lavoro verso l’intera società.
Esiste una dimensione collettiva macchinica esterna al capitale industriale fisso. Questo sapere sociale generale e lavoro scientifico generale chiamato intelletto generale è in parte fissato fisicamente in macchine industriali, infrastrutture fisiche di comunicazione digitale ed in altra parte presente come intellettualità di massa in grado di produrre nuove forme di vita sotto forma di merci. Il lavoro immateriale individuale si può concettualmente dividere in lavoro cognitivo che crea nuove macchine materiali, immateriali e sociali e lavoro informazionale che opera di fronte alla macchina e produce informazione valorizzante.
Sia le macchine industriali che le macchine informazionali possono essere definite come apparati per l’amplificazione del plusvalore e la cristallizzazione dell’intelletto generale, ad ogni modo le macchine cognitive introducono una differente “ composizione organica “ tra informazione e conoscenza, lavoro e capitale. Tutti gli “ organi “ materiali ed intellettuali si trovano oggi organizzati in una rete digitale che si innerva per l’intero globo.
Nel biocapitalismo il concetto stesso di accumulazione del capitale si è trasformato, non consiste solo, come in epoca fordista, in investimento in capitale costante e in capitale variabile ( salario ), bensi’ in investimento in “ dispositivi “ di produzione e captazione del valore prodotto all’esterno dei processi direttamente produttivi. Le macchine cibernetiche, in altre parole, fuggono dalla fabbrica e gradualmente trasformano la cooperazione sociale e la comunicazione in forze produttive. E’ difficile oggi trovare un lavoratore la cui prestazione non sia mediata da un dispositivo digitale. Le moderne macchine cognitive si articolano in informazioni, metadati e codici operativi macchinici. 
Il codice è un linguaggio, ma un tipo molto speciale di linguaggio. Il codice è l’unico linguaggio che è eseguibile. 
Non esiste alcuna parola nel linguaggio ordinario che faccia quello che dice. Nessuna descrizione di una macchina mette la macchina in azione. Invece l’eseguibilità del codice digitale non deve essere confusa con l’alta prestazione dei linguaggi umani.
Il codice è una macchina per convertire il significato in azione.   
L’apparato cognitivo deve essere continuamente alimentato e sostenuto dai flussi di informazione prodotti dai lavoratori, ma è, nello specifico, l’informazione sull’informazione, o metadati, che serve per migliorare l’organizzazione dell’intera fabbrica, il design delle macchine e il valore dei prodotti.
Qui, in conclusione, le macchine cognitive sono definite come dispositivi per accumulare informazione valorizzante, estrarre metadati, calcolare plusvalore di rete ed alimentare l’intelligenza macchinina.  Tali macchine cognitive sono ‘ scatole nere ‘ del plusvalore di rete e degli algoritmi progettati per la cattura del comune. “
Per comune si intende tutto ciò che viene prodotto da milioni di utenti della rete, la loro intelligenza generale di cui i gestori dei saperi, tramite Google, Facebook, Amazon, Twitter, etc., si appropriano senza alcun ostacolo legale. 
o C++, etc. egnale
 La produzione immateriale non ha né tempo né luogo. Infatti gli oggetti immateriali  risiedono ubiquamente nella rete virtuale di tutto il mondo conosciuto e la loro elaborazione è un processo continuo di elaborazione ed accumulo che si giova di ogni interazione cosciente che accade nei processi vitali.
La merce immateriale prima definita è l’unica che nell’atto del consumo che avviene tramite la mente non deperisce, non produce scarti, ma produce altra materia prima, nuova ed in relazione con la precedente, moltiplicando la materia prima a disposizione dell’industria di produzione di senso e della produzione della conoscenza generale degli uomini.
Insomma tutte le conoscenze accumulate dall’umanità nel corso della storia e disponibili al genere umano ed i processi di interpretazione e socializzazione che tutti  fanno delle nozioni accumulate, rappresentano un bagaglio immenso di saperi che viene messo in produzione attraverso i nuovi cicli di economia basati sull’uso dei segni dotati di senso.
Da questi cicli produttivi emergono prodotti, innovazione, progetti di nuovi servizi; tutto ciò emerge attraverso un processo permanente e irreversibile nel senso che non è più possibile a valle della produzione ripercorrere lo stesso procedimento che ha portato a quel risultato, esso può essere sfruttato e/o rimesso in circolo.
Va aggiunto infine per chiarezza che si sa bene che i due casi estremi, fabbrica di oggetti e fabbrica di segni, sono in genere intrecciati nel processo produttivo, in modo diverso a seconda dell’industria interessata e delle tecnologie utilizzate. Alle volte possono essere due fasi successive dello stesso processo, altre volte coesistono contemporaneamente. Ma, nel XXI secolo, la tendenza prevalente del processo di accumulazione flessibile del capitale è certamente quella di investire nella produzione di segni, cioè di merci immateriali.
   La capacità di gestione dell’informazione digitalizzata attraverso le reti è stata applicata immediatamente e su scala planetaria al denaro. Un grande processo di smaterializzazione determinò la possibilità di trasformare il risparmio in finanza globale e di aprire la strada ad un’ ulteriore accelerazione dell’importanza dei flussi informativi.
Le merci materiali sono prodotte attraverso macchine che sussumono  parti di lavoro vivo sempre più ampie attraverso la simulazione di intelligenza che il flusso informatico è oggi in grado di produrre e che, per ora, è solo incorporazione di un saper fare che risiede nel lavoro vivo e viene moltiplicato ed esteso tendenzialmente all’infinito.
L’ingresso e l’uscita del ciclo di produzione materiale genera due dei problemi principali sui quali si poggia la crisi che stiamo attraversando. Sia la finitezza delle materie prime che i problemi di gestione dello scarto, i rifiuti, creano non pochi problemi alla gestione delle società contemporanee ed all’economia.
Il ciclo immateriale, invece, rappresenta sia la nascita di un circuito economico di nuovo tipo, che la costruzione della griglia di circolazione del possibile, delle idee, dei convincimenti, delle informazioni di massa presenti all’interno della società. La materia prima della merce immateriale è rappresentata dal livello generale della cultura dell’umanità. Il fattore si caratterizza per la dinamica di due elementi : il livello assoluto della conoscenza accumulata dai vari specialisti nei più svariati ambiti e il livello di socializzazione di massa di tale conoscenza.
Potremmo affermare che proprio il bagaglio assolutamente personale delle esperienze e delle conoscenze produce una moltiplicazione esponenziale delle idee ogni volta che ne viene socializzata anche soltanto una.
La novità più profonda in termini di ciclo economico, però, è che una parte non secondaria della materia prima risulta depositata nel corpo sociale.
E’ la conoscenza diffusa e distribuita, infatti, a essere il grande laboratorio che accumula la materia prima necessaria al ciclo produttivo immateriale.
La proprietà di tale bene è, necessariamente, sociale.
Oggi la vita è messa a valore nella logica produttiva. 
Diminuisce sempre più nel sistema economico l’esigenza del lavoro subordinato, le nuove condizioni tecnico-scientifiche rompono il continuo fordista che incatenava gli uomini alla macchina rendendoli un prolungamento della macchina stessa.
Le nuove condizioni consentono di scindere il processo produttivo in fasi dispiegate nel tempo e nello spazio, ossia consentono al modo di produzione  la flessibilità, ma consentono anche, superato questo modo di produzione, per la prima volta assoluta in tutta la storia degli uomini, che non siano più i tempi di lavoro a regolare la vita degli uomini, ma possano essere ora i tempi di vita degli uomini a regolare i tempi di lavoro. 
Il rapporto di dominio del capitale sul lavoro ha cambiato forma, gli stessi capannoni si sono divisi e fatti più piccoli. Dietro questo processo c’è stato un grande aumento della capacità di controllo a distanza : non solo in termini di comunicazione, ma anche e soprattutto di capacità di descrivere in modo esaustivo processi e prodotti, eliminando tutte le aree grigie di “ sapere operaio “, di discrezionalità, di artigianato.  
Sotto sigle molto tecniche come CAD-CAM, MRP, etc. c’è la possibilità per il progettista, il tecnologo, l’esperto di logistica di descrivere in modo cosi accurato l’oggetto del proprio lavoro, da poter generare in modo automatico, per esempio, le istruzioni per le macchine utensili a controllo numerico e per la pianificazione dei processi produttivi.
E infatti, cos’altro sono le certificazioni ISO 9000 e successive se non il vanto aziendale di aver descritto in modo accurato ed univoco ogni processo? Insomma, ogni fase di lavorazione, ogni movimento di prodotto è preceduto, accompagnato, seguito da una rappresentazione molto accurata di esso nella dimensione delle procedure gestionali e amministrative. Ciò ha una serie di importanti conseguenze nell’ambito dell’organizzazione del lavoro :
   il processo produttivo può essere disaggregato e collocato in luoghi diversi senza che la direzione ne perda il controllo;
   al livello delle operazioni materiali è necessaria sempre meno consapevolezza del sistema produttivo complessivo, da non confondersi con l’abbondanza di ritorni dal sistema stesso, che è in grado di bilanciare il mix produttivo senza per questo dare un maggiore livello di consapevolezza ai lavoratori;
   è possibile la valorizzazione economica dei semilavorati : ciò apre nuovi mercati, perché un semilavorato può essere una fornitura interessante per un altro fornitore o, viceversa, acquistare un semilavorato può essere una forma di esternalizzazione;
   è possibile comparare in modo accurato l’efficienza produttiva di due diversi stabilimenti, magari posti in due continenti diversi;
   è possibile spostare la produzione, rapidamente e a bassi costi, da un Paese all’altro alla ricerca delle condizioni locali più favorevoli : per esempio, grossi vantaggi fiscali, debolezza sindacale, repressione politica, assenza di controlli, efficienza logistica, ecc.
Tutto ciò permette di separare fisicamente le fasi di manipolazione dirette dei materiali e dei componenti, da quelle dell’ideazione, della progettazione, del controllo, della distribuzione e dell’assistenza post-vendita : ciascuna di esse può essere affidata ad una o più imprese giuridicamente indipendenti, a gradi diversi di partecipazione. Ciò porta con sé il vantaggio consistente nel fatto che saranno queste imprese senza autonomia reale a fare da teste di legno di fronte ai sindacati ed agli enti locali, mentre i reali decisori sono altrove, al di là delle connessioni elettroniche, protetti da altri sistemi giuridici e contrattuali.
Tutto ciò svuota l’idea tradizionale della contrattazione sindacale e della stessa sovranità politica : le concertazioni triangolari rischiano di avere un vertice latitante, un altro evanescente e il terzo…….molto incazzato.   
  Negli ultimi 10 anni la struttura del capitalismo finanziario è completamente mutata rispetto a quella del novecento.
La smaterializzazione del denaro e la infofinanza hanno portato ad un accumulo di capitali fittizi pari a 70 trilioni di dollari a fronte di un pil mondiale di 7 trilioni di dollari. Questi immensi risparmi gonfiati non sono soggetti ad una contabilità ufficiale, né sono gestiti con responsabilità e soggetti a controllo, neanche da parte dei sottoscrittori. Questi risparmi sono gestiti da fondi pensioni, fondi di investimento, assicurazioni, fondi speculativi vari e tutti vanno sotto il nome di Investitori Istituzionali. Più della metà del capitale azionario delle prime 100 imprese di Francia, Germania, Regno Unito, USA è nel portafoglio degli Investitori Istituzionali.
Se dei beni primari per la vita dei popoli manifestano una tendenza alla crescita del loro prezzo gli Investitori Istituzionali assecondano ed esaltano tale tendenza in borsa attraverso massicci investimenti per poi rivendere realizzando plusvalenze miliardarie : essi sono i nuovi capitalisti per procura.    
Gli Investitori Istituzionali esercitano un notevole potere sui manager delle società di cui possiedono i titoli consentendo, con questa gestione a breve termine e priva di respiro strategico, profitti del 15% come profitti normali, ma ben maggiori di quelli possibili nell’economia reale. Gli Investitori Istituzionali ed i Manager rappresentano le due principali frazioni del capitalismo transnazionale.
Ovviamente creare denaro a mezzo di denaro con grandi leve finanziarie ha conseguenze perverse come le ultime crisi finanziarie hanno dimostrato.
Ma perché la infofinanza si è cosi pervasivamente affermata nel mondo? Certamente ciò è stato possibile con la comparsa del sostituto digitale del denaro, con l’esplosione del calcolo digitale al servizio della moneta, infatti con i flussi di bit si crea liquidità, si creano prodotti, contratti e scambi gestiti fuori dagli organi di controllo come le banche centrali ed anzi si creano leve verso il credito facile presso i consumatori attraverso carte di credito, ma la motivazione macroeconomica di questi “ spaventosi giochi planetari “ che muovono immensi capitali al suono dei click dei computer risiede nell’impossibilità di investire questi capitali accumulati nell’economia reale che non trova più una domanda aggregata sufficiente a sostenere una produzione mondiale che da tempo è sotto la capacità produttiva massima possibile, ciò a causa degli enormi profitti precedenti che hanno consentito l’accumulo precludendo la domanda futura per l’immiserimanto delle popolazioni. Il gioco planetario finanziario rappresenta un perder tempo, un rimandare lo scontro tra capitali spalleggiati da diversi stati in attesa che larga parte di questi capitali siano distrutti pe riprendere un nuovo ciclo di accumulazione. Ma quali capitali saranno distrutti e con quali metodi ( la guerra ? ) ad oggi non è dato sapere, anche se i rinascenti nazionalismi europei non promettono nulla di positivo. Ovviamente un tale meccanismo, se l’analisi è giusta, non può essere corretto impedendo la generazione di bolle finanziarie perchè esse, anche se momentaneamente impedite , risorgeranno in ogni dove in quanto la circolazione dei capitali non può fermarsi nel nostro sistema.
Non è difficile capire che c’è un altro solo modo per “ distruggere “ i troppi capitali accumulatisi nelle mani di pochi senza scontri interni alle nazioni ed è quello di socializzarli come bene comune dei cittadini.
Quello che deve essere chiaro è che la stagione neoliberista non si sarebbe potuta dispiegare, come accade oggi sotto i nostri occhi, senza l’applicazione del digitale alla finanza ed alla produzione e dunque al lavoro; capire ciò è importante ed attrezzarsi ad usare le nuove tecnologie nella sfera della finanza e della produzione è essenziale per gestire una nuova economia.
Infatti con la globalizzazione e l’uso del digitale le imprese non hanno più interesse che i compratori siano anche i propri  lavoratori, il destino delle aziende ed il destino dei propri lavoratori si separano.
Oggi l’impresa è in grado di spezzettare il ciclo produttivo in veri siti nel mondo, l’azienda informatizzata e messa in rete integra i processi sparsi nel mondo massimizzando il profitti in ognuno dei segmenti del ciclo giacente in un sito diverso e questa integrazione ha una efficacia incredibile.
Internet connette imprese e clienti e ciò consente di produrre solo ciò che è ordinato, riducendo il rischio dell’invenduto, e ciò che è ordinato ha caratteristiche personalizzate sulle esigenze del cliente; addirittura una parte del ciclo produttivo può essere svolta dal cliente a sue spese, la produzione è sempre più connessa, produzione e consumo sempre più intrecciati.
Siamo immersi nella società del mutamento.  
E’ necessario assumere la base culturale della complessità e l’azione consapevole di milioni di persone progettando forme di democrazia diretta accanto alle tradizionali forme rappresentative.
La base delle strutture complesse è costituita dall’imprevedibilità, dall’evoluzione, dall’adattamento, dal decentramento, ma la complessità stessa non per questo è ingovernabile, nuove leggi di autogoverno emergono da questi contesti, purchè sussistano infrastrutture in grado di veicolare in modo veloce i numerosi segnali di scambio tra le parti che costituiscono il tutto.
Analogamente per ciò che concerne la complessità della nostra società e la possibilità insita nella rete di dare consapevolezza a milioni di cittadini, la figura del leader di un movimento o di un partito è quella di chi semplifica un progetto senza perdere la ricchezza dei contributi principali che emergono dal basso e di chi si immerge nella rete operando in modo critico, creativo, aperto tendendo a realizzare un’efficacia collettiva della rete.
Le istituzioni oggi tendono sempre di più all’autoritarismo, mentre la tecnologia , proprio oggi, rende possibile la partecipazione diretta a livelli mai visti prima.
Dalle esperienze dei movimenti emerge oggi una capacità di autorganizzazione lontana dall’individualismo liberista, ma che si deve affiancare alle funzioni che ancora devono essere gestite centralmente senza esserne assorbita. Un eventuale depotenziamento di questa capacità autorganizzativa, oltre a deprimere forze importanti per il cambiamento, non consentirebbe centralmente di godere di quella forza produttiva esponenzialmente crescente che oggi è imbrigliata in rapporti di produzione arretrati e che non potrebbe cosi liberarsi pienamente. 
 Livelli di sviluppo delle forze produttive e configurazione attuale delle contraddizioni con i rapporti di produzioni esistenti nell’epoca della “globalizzazione”
Spesso dietro la parola “globalizzazione” è implicita una definizione di superimperialismo mondiale che prescinde dalle contraddizioni tra i vari campi imperialistici che nel tempo si costituiscono.
Inutile ribadire che questa definizione implicita rimanda ad una concezione falsa, ossia ad una concezione di dominio assoluto del capitalismo nel mondo come se la continua concentrazione dei capitali a livello mondiale non generasse, come vedremo, un arresto della riproduzione allargata con conseguente nascita di feroci tensioni tra i campi imperialistici contrapposti.
La definizione sottesa al termine globalizzazione non ci consente di capire i contenuti nuovi, specifici che rendono le attuali forze imperialiste diverse da quelle degli anni ’30 e ’40 del secolo scorso.
Il nuovo imperialismo è frutto di un più elevato grado di concentrazione monopolistica trasformatasi nella costituzione di numerose holding i cui singoli bilanci superano quelli statali di Francia, Germania, Usa, Giappone, Italia. Tali holding sono il risultato di una elevata integrazione di tutti i processi produttivi: finanziamento, ricerca, reperimento materie prime, processi di trasformazione, gestione dei semilavorati, produzione dei prodotti finiti, distribuzione, commercializzazione, pubblicità, credito alla distribuzione. Tutto ciò da parte del capitale finanziario ha ulteriormente eroso gli spazi del capitale industriale ed ha determinato un aggravamento del processo parassitario.
La lotta tra holding, ossia tra giganti avviene in svariate forme; alcune generano una feroce competizione nel rastrellamento di capitali a livello internazionale e la nascita dei paradisi fiscali.
Nel corso di queste contrapposizioni a livello mondiale molte aziende abbandonano il mercato, alcuni monopoli di forza paragonabile si fondono altri vengono acquistati per essere annientati anche se i consumatori non vedono scomparire i nomi dei marchi del monopolio soccombente, mentre i lavoratori in esubero dalla fusione passano all’assistenza delle politiche di welfare sempre più traballanti.
Lo sviluppo scientifico nel breve periodo opera in controtendenza rispetto alla caduta tendenziale del saggio medio di profitto, ma nel medio periodo rende ancora più difficile la realizzazione di margini di profitto a causa dalla enorme percentuale di capitale fisso in tecnologia da investire rispetto a quello variabile in forza lavoro da cui solo si estrae il plusvalore ( anche se l’accumulazione flessibile della conoscenza che si avvale dell’esproprio dell’intelletto generale si somma all’accumulazione derivante dal plusvalore estratto in modo diretto dalla forza lavoro impiegata ) e dunque riduce la possibilità per il capitalismo di una riproduzione allargata.
Sintomi di queste difficoltà sono le ripetute crisi finanziarie mondiali degli ultimi due decenni, crisi amplificate dal progresso specifico della telematica che ha reso velocissima la propagazione dei segnali di crisi di una borsa verso tutte le altre: anche se le borse hanno dovuto prevedere la sospensione dei titoli in caduta libera, non hanno ottenuto altro, per ora, che sostituire una grande esplosione con tante piccole esplosioni.
Ma un aspetto importante di questa ulteriore concentrazione dei gruppi monopolistici risiede nelle importanti modifiche nel rapporto tra singoli stati nazionali e gruppi monopolistici stessi, nella ridefinizione delle entità statali e dei confini territoriali di ciascun stato nazionale, nella modifica degli strumenti tecnici come Onu, Ocse, Nato, etc. che regolano a livello mondiale il mantenimento della pace o le alleanze per le guerre.
Agli albori dell’imperialismo i monopoli pur nascendo in uno stato nazionale avevano una proiezione sovranazionale, ma la minore fluidità nella circolazione dei capitali poteva portare ad avere nel mercato più maturo degli interessi del 70% in stati nazionali alleati con lo stato nazionale di provenienza e del 30% in stati nazionali del campo imperialistico avverso e tutto ciò consentiva di spingere per la guerra che se vinta avrebbe compensato le perdite del 30%, senza contare sul fatto che i rapporti tra gli stati nazionali erano anch’essi meno fluidi di oggi ed ogni stato nazionale era sottomesso ai gruppi monopolistici originati nei suoi confini,
I gruppi monopolistici odierni  provengono dalla storia della guerra fredda che li aveva costretti ad un elevato livello di coordinamento tra loro per fronteggiare gli stati nazionali socialisti e dopo il crollo del muro hanno da una parte potuto operare con maggiore libertà reciproca in assenza, almeno all’inizio, dell’Urss e dei suoi alleati, ma dall’altra parte lo sviluppo della scienza e della tecnica portava ogni holding finanziaria ad una integrazione trasversale su più categorie di prodotti ed ad una penetrazione nei mercati di numerosi stati nazionali anche appartenenti a stati nazionali che avevano dato origine ai gruppo monopolistici una volta nemici e questa penetrazione è avvenuta con percentuali di fatturato paragonabili a quelle del fatturato dello stato nazionale di origine e degli stati nazionali una volta amici.
In ogni stato nazionale, almeno per ora, le lotte tra gruppi monopolistici contrapposti si svolge sul piano del reperimento delle risorse finanziarie sul mercato mondiale, sulla capacità di coinvolgere il governo di quello stato nazionale, sulla possibilità di acquisire o fondersi con un gruppo monopolistico concorrente. Da questo punto di vista si comprende meglio il processo in atto del ridisegno di molti stati nazionali e le lacerazioni avvenute con guerre non ancora generali, si comprende meglio la nascita di movimenti transfrontalieri che vorrebbero far nascere nuove macroregioni tra popolazioni che parlano lingue diverse nel caso in cui lo sviluppo diseguale tipico del territorio sotto l’influenza del capitale finanziario abbia creato in uno stesso stato nazionale aree economiche che non possono più essere considerate come appartenenti ad un unico mercato nazionale. ( Istruttiva a questo proposito una lettura del fenomeno Lega Nord illuminata dal punto di vista della reazione delle piccole e medie imprese al capitale finanziario che opera a livello mondiale )
Lo stato nazionale non è una categoria eterna.     
L’Unione Europea con capacità di soverchiare le sovranità nazionali dopo la caduta del muro nasce sotto la guida del capitale finanziario che può compiere questa operazione in quanto la scienza e la tecnologia hanno consentito un’accelerazione dello sviluppo delle forze produttive verso una scala continentale, ma i capitali a prevalente interesse nazionale o anche se proiettati verso l’esportazione, ma aventi dimensioni non competitive con i gruppi monopolistici, rappresentano una forza antagonista al sistema europeo.
A ciò si aggiunga che la perdita di egemonia del Movimento Operaio ha comportato una frammentazione del fronte dei lavoratori che spesso usano i partiti con base regionale, come la Lega al nord, come sindacato territoriale sotto l’egemonia delle organizzazioni aziendali per difendersi dalla concorrenza di altri lavoratori della comunità europea o extracomunitari.
Ecco perché quando parliamo di contrasti tra forze capitalistiche dobbiamo intendere che ad ora queste forze trascinano con loro interi pezzi del mondo del lavoro: per il momento stenta a crescere un movimento nazionale di lavoratori su posizioni di autonomia di classe e, se dovesse nascere e consolidarsi prima di derive di destra con basi si massa, esso comunque si troverebbe ad agire in un mondo nuovo, diverso dai vecchi compromessi nazionali capitale-lavoro, e, se sprovvisto di una teoria adeguata alle nuove forme di contrasto interimperialistiche, non avrebbe la capacità di individuare un nuovo anello debole in Europa e comunque non avrebbe la capacità politica di pesare nelle scelte economiche.
Se il fronte dei lavoratori è frammentato l’imperialismo è bloccato dal suo stesso sviluppo in una crisi strategica: esistono campi imperialistici che in futuro potrebbero scontrarsi, ma, per il momento, a causa dello sviluppo trasversale dei gruppi monopolistici, sono ben bilanciati in termini di forze economiche.
Compito del Centro dovrebbe essere, prima di arrivare ad affrettate conclusioni, l’approfondimento dei rapporti stati nazionali e gruppi monopolistici alla luce dell’attuale livello di concentrazione dei capitali, l’approfondimento delle dislocazioni dei singoli stati nelle odierne e future alleanze in funzione dei rapporti tra gruppi monopolistici.
Questi dovrebbero essere approfondimenti concreti con economisti che possono aiutarci attraverso l’elaborazione di dati affidabili ed informazioni accurate.
Non si improvvisa una teoria sulla forma attuale delle contraddizioni interimperialistiche e bisogna avere l’umiltà di imparare dall’esperienza ed essere disponibili a correggere analisi che al momento possono sembrare giuste almeno intuitivamente.
Lo sviluppo poderoso della tecnologia da parte dei gruppi monopolistici mondiali nel campo degli armamenti, dei motori per missili, dei satelliti e delle comunicazioni ha finito per fornire questi mezzi a tutti i principali stati del pianeta conducendo anche in campo militare ad un sostanziale equilibrio tra campi imperialistici che potrebbero in futuro contrapporsi
Addirittura sono stati istituiti comandi militari unificati tra tutti i campi imperialistici per la messa in atto dello smembramento della Jugoslavia, questo ad attestare l’attuale centralizzazione delle forze imperialistiche nell’intervenire nell’excampo socialista.
Ovviamente gli Usa più degli altri stati hanno il quadro d’insieme dei progetti militari dando però commesse anche a gruppo monopolistici originatesi in altri stati ( ad es. Fiat, Alenia per l’Italia, e cosi per altri stati ), ma per stati nazionali in rete tra loro non sarà difficile risalire dai pezzi  loro commissionati al quadro d’insieme di un sistema d’arma.
Anche se il capitale finanziario è tendenzialmente apolide, deve necessariamente cooperare con gli stati nei quali opera per reprimere tutti i movimenti sociali che la sua presenza sul territorio tende a dominare, inoltre la legge della caduta tendenziale del saggio medio di profitto comporta ripetuti arresti  nella riproduzione allargata che possono portare, come già avvenuto, alla necessità di distruggere parte del capitale complessivo per ripartire con in nuovo ciclo ed a quel punto i vari gruppi monopolistici tendenzialmente apolidi potranno dividersi in campi che dovranno, attraverso percorsi oggi tortuosi, fare riferimento a specifici stati nazionali.
La stessa Onu che non è una organizzazione fuori dalla storia è ormai sede di una fortissima contraddizione a livello mondiale. 
Come per l’Unione Europea, da una parte contiene un lato progressivo in quanto espressione della centralizzazione e pianificazione necessarie allo sviluppo delle forze produttive su scala planetaria, dall’altra contiene un lato regressivo che è quello dell’organizzazione capitalistica esprimente i rapporti di produzione che si oppongono ad un ulteriore sviluppo delle forze produttive e tendono a bloccare la storia dell’umanità fuori dal capitalismo.
Tale risposta regressiva dovrebbe, in ambito Onu, costituire un momento di mediazione e sintesi dei contrasti interimperialistici e , contemporaneamente, una risposta repressiva contro il proletariato ed il socialismo.
Alla fine degli anni ’80 a seguito di una crescente concentrazione in holding del processo capitalistico si verifica la nascita del G7 ( organizzazione sovranazionale esterna all’Onu ) che svuota ulteriormente l’Onu stesso di quel carattere progressivo che aveva avuto nei venti anni tra il ’50 ed il ’70 per la presenza di un forte campo socialista, anche se diviso, e per la presenza dei nuovi stati ex-coloniali svincolati dal vecchio dominio.
Ma con la stasi delle lotte ed il crollo dell’89 l’Onu è tornato saldamente nelle mani delle forze imperialiste che spesso scatenano guerre contro gli stati ed i movimenti che si oppongono al loro dominio, confermando con ciò che sono i rapporti di forza reali che si vengono a stabilire di fase in fase che determinano in ciascuna fase il prevalere del carattere progressivo o regressivo all’interno dell’organizzazione dell’Onu.
Le modifiche nell’assetto del capitale monopolistico e nelle relazioni stati nazionali – gruppi monopolistici determinano una parte importante delle forze che spingono, ad esempio in Italia, verso le modifiche costituzionali, l’avvio, il fallimento e l’avanzamento a singhiozzo di tali modifiche.
 La costituzione materiale è il livello di accordo politico che definisce l’unità tendenziale del progetto costituzionale.
La costituzione del ’48 regolamentava una organizzazione sociale fondata sulla conflittualità, sullo scambio, sulla legge del valore.
Queste condizioni sono mutate, deve quindi mutare la costituzione.
Le nuove condizioni del modo capitalistico di produzione hanno bisogno di superare le vecchie forme di scambio capitale forza lavoro, senza però che si inceppi la regola di valorizzazione del capitale.
I problemi e le contraddizioni di costituzionalisti, economisti e politici solo in questa luce cominciano a chiarirsi.
La nuova epoca della lotta di classe comincia laddove finisce, concludendosi, lo spazio storico dell’attuale costituzione.  
 Grande confusione sotto il cielo, la situazione è ottima compagni! Si, se ci fosse il partito, ma il partito non c’è!

Considerazioni sull’organizzazione del Movimento Operaio attuale

Le organizzazioni del Movimento Operaio non possono prescindere dall’analisi della fase che il capitalismo attraversa e dal tipo di comando che il capitale esercita sul lavoro.   
Le organizzazioni attuali sono “vecchie”, nel senso che non rispondono alle esigenze che la nuova fase capitalistica impone. Le forme organizzative non sono eterne, ma anch’esse hanno una storia e rappresentano gli strumenti tecnici con cui la classe si organizza e si contrappone alle forze in campo della borghesia.
Tali forme devono necessariamente rispondere ad una analisi della fase da cui scaturisce una teoria se vogliono essere efficaci.
Essere efficaci vuol dire non solo non aver sbagliato l’analisi della fase, ma aver elaborato un programma in grado di difendere le condizioni materiali di vita delle masse e contemporaneamente inserire questa difesa in una strategia e tattica di fuoriuscita dal capitalismo e dunque di raggiungimento degli obiettivi del programma.
Da tutta l’analisi precedente emerge che il processo di trasversalizzazione del capitale ha portato all’integrazione di vari settori in un’unica holding ed in numerose holding in accordo-scontro tra loro su scala mondiale e che lo sviluppo scientifico e tecnologico non comporta più la concentrazione di enormi masse operaie in grandi concentrazioni industriali almeno nell’enorme numero di queste concentrazioni che caratterizzava la fase capitalistica precedente l’attuale, ma genera realtà industriali più piccole integrate in distretti industriali sul territorio.
Sulla base di quanto detto risulta evidente l’assoluta inefficacia delle attuali strutture organizzative della classe, anzi grazie alla metamorfosi avvenute queste organizzazioni sono divenute interclassiste ad egemonia borghese.
Già a partire dagli anni ’70 le sezioni del Pci non erano più popolate dalle avanguardie operaie che vivevano lo scontro di classe nel cuore del sistema capitalistico, esse erano il centro territoriale burocratico nel quale si confondevano le idee e le proposte delle varie classi e non più del proletariato: nelle nuove condizioni date non esiste più la possibilità per i quadri di partito di verificare la coerenza delle proposte di partito con una analisi marxista della fase.
Oggi poi la deriva è totale.
Il ruolo dei mezzi di informazione è quello continuamente di plasmare e manipolare le classi subalterne che non hanno più nelle obsolete organizzazioni di partito e di sindacato un faro di cultura alternativa a quello dominante, tale ruolo è svolto in modo neanche coerente e quindi genera nell’opinione pubblica confusione, ma anche correnti di opinione che muovono il cosiddetto popolo delle primarie che costituisce il flusso vitale delle attuali macchine elettorali.
Ma dall’analisi precedente sappiamo che le decisioni strategiche avvengono ormai fuori dai partiti e dai parlamenti: la politica è ormai un rito vuoto, è un supporto amministrativo di decisioni prese altrove, si consuma cosi la strutturale irrilevanza della politica per quanto riguarda la possibile elaborazione di soluzioni sociali avanzate ai problemi che la fase genera.
Non è vero solo che questi falsi partiti occupino lo stato e le istituzioni sociali, ma è vero anche il contrario: essi sono occupati dallo stato e dalle istituzioni sociali, hanno perso autonomia di progetto e nel caso dei lavoratori subalterni autonomia di classe.
Risalire la china non sarà facile. Dobbiamo provarci.
Le nuove forme organizzative devono prevedere il posizionamento di quadri politici nel cuore dei vari centri produttivi, sia quelli ancora esistenti nella forma delle grandi concentrazioni operaie che quelli postfordisti dei distretti territoriali in rete tra loro e fortemente basati sugli operai sociali o lavoratori della conoscenza.
Dentro le più svariate realtà produttive devono essere ben piantate le antenne costituite dai quadri più qualificati e combattivi del Movimento Operaio.
Queste antenne dovranno comunicare alle future organizzazioni di classe tutti i dati che consentiranno di scoprire gli sviluppi tendenziali del capitalismo, ma massima importanza dovranno avere tutti i dati che mettono in discussione o smentiscono l’analisi e la teoria che è servita a forgiare la stessa forma organizzativa. Infatti le smentite sul campo alle nostre analisi sono le uniche informazioni che ci consentiranno di comprendere gli sviluppi tendenziali successivi.
Anche le attuali strutture sindacali per Federazioni e Camere del Lavoro territoriali non sono per nulla adeguate al livello di concentrazione attuale dei capitali finanziari.
Ciò che servirebbe è una forma organizzativa flessibile e veloce in grado di adattarsi alle cangianti realtà produttive, accentrate e decentrate, altamente pianificate nelle holding e fortemente interconnesse in rete nei distretti territoriali.
Servirebbe da parte di questa futura forma organizzativa una capacità di mobilitazione estesa o ristretta a seconda delle forze capitalistiche in campo nelle singole importanti lotte, questo significa che dovrebbe prevalere nell’organizzazione una capacità di mobilitare strutture di massa autonome fortemente innervate dall’organizzazione stessa e che riconoscano all’organizzazione, per l’autorevolezza conquistata sul campo, la guida complessiva del Movimento Operaio.
Un’organizzazione a fisarmonica con grande capacità di rispondere colpo su colpo agli attacchi delle forze capitalistiche e dotata di una teoria che prevenga i nuovi sviluppi tendenziali volgendoli a proprio favore cosi come il programma elaborato prevederà.
Inutile sottolineare che questa organizzazione futura dovrà dotarsi della migliore redazione possibile di comunicatori su tutti i media disponibili, dalla rete alle TV, ma con una gestione centralizzata che impedisca i personalismi e gestisca sapientemente anche le assenze dalle TV per evitare l’omologazione dei propri rappresentanti al chiacchiericcio imperante.
Ovviamente tutto ciò è facile a dirsi, ma via via che una organizzazione dovesse crescere su queste basi, superato il fortissimo attrito di primo distacco, se l’analisi è giusta, potrà godere dell'apporto delle stesse forze vive dalla società che forniranno il flusso continuo di carburante necessario alla nuova organizzazione nella forma descritta.  
Inutile sottolineare che il Centro di cui ci accingiamo ad approvare lo statuto dovrebbe, di concerto con lo sviluppo di una teoria complessiva che tenga insieme sempre intrecciati i singoli temi senza indulgere ad una eccessiva specializzazione, elaborare un embrione di programma per l’Italia affrontando i temi che oggi agitano il Paese alla luce dell’analisi che si consoliderà.

martedì 15 ottobre 2013

Riunione tecnica del 26 ottobre

Sabato 26 ottobre, alle ore 11, a Napoli, nella sede de “La Città del Sole”, si riunirà il comitato tecnico incaricato di preparare l'assemblea del Centro prevista per il 23(o il 30) novembre prossimo.
La riunione del comitato tecnico che, ricordiamo, ha funzioni operative di preparazione dell'assemblea degli aderenti è aperta a tutti quei compagni e compagne che hanno la possibilità di intervenire con il preciso ed esclusivo impegno di preparare il programma da sottoporre all’assemblea fondativa di novembre:

1) eventuale approvazione della bozza di statuto o regolamento del Centro (che è stata inviata ai compagni e pubblicata sul blog http://ccdrf.blogspot.it/); in alternativa, comunque, definire le strutture di gestione, loro funzioni e attribuzioni: quanto meno quelle di un coordinatore, di un responsabile dell’ufficio di corrispondenza,di uno dell’organizzazione degli archivi, di un responsabile delle attività editoriali;
2) predisporre una proposta di struttura e di funzionamento dei gruppi di lavoro – sia di documentazione, sia di ricerca, sia di formazione –, il loro coordinamento reciproco orizzontale e con eventuali percorsi locali;
3) definire  un prospetto generale e strategico dei settori di lavoro (documentazione, ricerca e formazione) lasciando l’individuazione di quelli concretamente praticabili alle concrete disponibilità di risorse che man mano emergeranno e la cui concreta articolazione sarà di volta in volta preliminarmente e collettivamente definita sulla base delle risorse umane e documentarie disponibili;
4) individuare gli strumenti di comunicazione interna ed esterna;
5) abbozzare un piano economico per l’autofinanziamento del Centro.

Poiché è stata avanzata l’ipotesi di rendere pubblici il progetto e il concreto impegno di lavoro del Centro attraverso una iniziativa o un evento, la riunione del 26 p.v. dovrà valutare questa ipotesi e, eventualmente, individuarne tipologia e taglio da proporre all’assemblea di novembre.

Infine, si dovranno individuare modi e forme per portare la proposta di lavoro e di adesione e/o collaborazione al Centro alle varie “nicchie” comuniste e ai singoli compagni


Proposta di programma di lavoro

La proposta da sottoporre all’assemblea costituente di novembre si rifà, naturalmente, a quanto già contenuto del dibattito precedente e nei contributi fatti pervenire dai compagni e pubblicati sul blog e nella mailing-list, ben riassunti nella bozza di statuto.
Le questioni da porre a base del nostro impegno futuro sono innumerevoli e abbracciano gli ambiti più diversi. Impossibile – e sbagliato – sarebbe selezionare aprioristicamente questo o quel campo di indagine: è questione che soltanto il Centro costituito e la concreta disponibilità di risorse potrà risolvere. E, tuttavia, altrettanto impossibile – e inconcludente – sarebbe articolare una proposta con un elenco insensato di questioni.
Lo sforzo della presente proposta è, allora, quello di raggruppare le questioni in macroaree e di individuare anche un approccio – di merito e di metodo – che, da un lato, aiuti a selezionare le (poche,  inizialmente) problematiche da affrontare, e, dall’altro, eviti una lettura banale e parcellizzata.
Qualunque sia il programma di riflessione e ricerca che il Centro costituito sceglierà di adottare, dovrà necessariamente essere incardinato – a monte – su una solida base documentaria e dovrà avere – a valle – una precisa ricaduta nel campo della formazione, intesa sia come alfabetizzazione a livello generale, sia come impostazione di base – quanto meno sul piano teorico – di militanti comunisti.
Naturalmente – in base alla precisa scelta di restare ancorati ad una pratica di militanza e lontani da ogni concezione accademica – la raccolta dei fondi documentari e i percorsi di formazione scaturiranno dalle scelte che verranno fatte e a quegli ambiti di lavoro saranno strettamente intrecciati.

Lotta all’anticomunismo
Il modo migliore di combatterlo è riaffermare e dimostrare la verità della storia.
Il che non significa trascurare la lotta su questo fronte. Ma va fatto sia smascherando il revisionismo storico nel merito dei nostri percorsi di ricerca sull’esperienza del movimento operaio e sulla storia del ‘900, sia – nella contemporaneità – rispondendo sistematicamente e scientificamente alle demonizzazioni e alle false rappresentazioni del comunismo evitando ingenue e inutili contrapposizioni agiografiche. Su questo terreno, per la loro importanza storica e politica, restano imprescindibili le esperienze sovietica e cinese e il ruolo in esse avuto dai rispettivi partiti e dai compagni Stalin e Mao.
Questo impegno di lavoro e di lotta è strettamente collegato con quello di riaccreditare i valori e l’orizzonte del comunismo tra i lavoratori e gli oppressi.

Riaffermazione del comunismo come unico orizzonte possibile e unica alternativa
La barbarie imperialista che ormai domina il mondo, la mondializzazione come percorso distorto verso l’Universale, la crisi irrisolvibile del capitalismo, la necessità che la crescita del sapere umano e lo sviluppo impetuoso delle forze produttive non determinino l’annientamento del pianeta e siano finalizzati a nuovi rapporti di produzione e tra gli uomini mostrano come soltanto i valori e la prospettiva del comunismo possono risolvere i problemi del nostro tempo e aprire all’umanità un orizzonte radicalmente diverso.
Ma a questi valori e a questa prospettiva occorre riguadagnare la fiducia e la volontà di lotta delle classi subalterne e dei popoli.
Questo compito richiede un impegno di critica puntuale e scientifica dell’esistente e un lavoro ad ampio raggio di alfabetizzazione maieutica alle idee-forza e all’orizzonte comunista, insieme con percorsi di formazione finalizzati a militanti, soprattutto giovani lavoratori. Naturalmente risulterà fondamentale far conoscere – in positivo, senza sottacerne furbescamente limiti ed errori – le concrete conquiste realizzate direttamente nelle esperienze di transizione verso il socialismo, quelle indirette determinate nei paesi dominati dal capitalismo da quell’esempio trainante, l’argine politico eretto contro la barbarie imperialista, il sostegno internazionalista ai popoli del mondo.


Riflessione sull’esperienza del movimento comunista
Marx insegna che non è possibile leggere la storia di una classe se non nelle sue relazioni con tutte le altre classi e ben all’interno della realtà strutturale di quella determinata società.
Non possiamo correre il rischio che il nostro lavoro abbia gli stessi limiti frequenti nella storiografia – anche di parte comunista – che non tiene conto di questi due irrinunciabili e indivisibili ancoraggi, e che prende in esame la storia del solo proletariato e/o del movimento comunista e fa muovere le proprie analisi da un livello che è già immediatamente politico, prescindendo del tutto dalla base strutturale. Del resto la storia dell’intero ‘900 è caratterizzata da un grande sviluppo del sapere e, dunque, delle forze produttive: è storia dello sviluppo del capitalismo ma, ad un tempo, anche della soggettività proletaria e, a partire dalla rivoluzione del’17, del protagonismo dei popoli ex-coloniali.
Per tutti questi motivi è allora opportuno sviluppare gli specifici percorsi di ricerca all’interno di una rigorosa “riflessione-quadro” sull’intera storia del ‘900a cui riferire le riletture critiche di ambiti specifici che dovranno, comunque, sfuggire alle ricorrenti suggestioni liquidazioniste o, all’opposto, nostalgiche e salvifiche. I diversi percorsi dovranno tendere, pur nelle specificità, a individuare le cause oggettive e soggettive della decadenza e sconfitta del movimento comunista rifiutando di utilizzare categorie inutili (come quella del “tradimento”) o muovendo dalla convinzione che il revisionismo sia un “male oscuro” senza radici e cause complesse.
Le macroaree in cui inquadrare le future ricerche possono essere così individuate:

Il movimento comunista a livello mondiale; l’internazionalismo proletario
·      la Terza Internazionale
·      il Cominform, l’autonomia, le vie nazionali, l’eurocentrismo
·      le principali esperienze di rivoluzione e di transizione (Vietnam, Cuba, Jugoslavia, etc.)

L’URSS: successi elimiti; sviluppo delle contraddizioni all’interno e a livello internazionale
·      la conquista e il consolidamento del potere
·      la transizione verso il socialismo
·      l’aggressione nazifascista, la vittoria, la guerra fredda, la ricostruzione
·      il  XX° Congresso, la deriva opportunista, la stagnazione
·      il crollo; la disgregazione dell’Urss e della società sovietica

La Cina: la lettura asiatica della rivoluzione e della transizione al socialismo
·      la lunga marcia di un popolo coloniale tra problemi interni e lotta antimperialista
·      la conferenza di Bantung e la Conferenza di Mosca del ’60
·      la difficile transizione: i “cento fiori”, il “grande balzo in avanti”, la “grande rivoluzione culturale proletaria”
·      la svolta denghista, il “socialismo alla cinese”, natura e ruolo della Cina oggi

Il movimento comunista in Italia
·      Togliatti: la “svolta di Salerno”, la Resistenza, la Costituzione, le scissioni sindacali, le “riforme di struttura”, il 1956 e l’VIII° Congresso, la “via italiana al socialismo”
·      la sfida degli anni’60 e ’70, opportunismo ed estremismo, Berlinguer (lo “strappo”, l’”eurocomunismo”, il “compromesso storico”, ecc.), verso lo scioglimento
·      la ricostruzione di un partito malato, la diaspora

La critica dell’economia politica nel tempo della mondializzazione
La rilettura critica dell’esperienza del movimento comunista non può essere fine a se stessa, né finalizzata alla pur necessaria polemica con l’anticomunismo comunque connotato e alla riaffermazione astratta dei valori del comunismo. Ancor meno deve servire a supportare e rinsaldare impostazioni schematiche e inattuali dell’iniziativa rivoluzionaria dei comunisti. Essa deve essere “investita” principalmente per orientare e comprendere correttamente la caratterizzazione assunta nel tempo presente dalle contraddizioni di classe e, soprattutto, per individuare e intraprendere i possibili percorsi di lotta e di trasformazione della realtà. Ma, ancora una volta, a partire dalla realtà strutturale, così come oggi si è andata configurando e, dunque, dal reciproco movimento delle classi in lotta.
Appare, quindi, opportuno – a somiglianza e prosecuzione del percorso propedeutico suggerito e auspicato sul ‘900 – focalizzare preliminarmente la ricerca sulle forme e i modi dell’accumulazione capitalistica nell’epoca della mondializzazione, sui livelli di sviluppo raggiunti dalle forze produttive e sulla configurazione attuale della loro contraddizione con i rapporti di produzione ancora esistenti. All’interno dell’aggiornamento di questa riflessione-quadro verrebbero inseriti gli specifici percorsi di ricerca nei diversi ambiti. Solo in questo modo sarà possibile finalizzare il lavoro del Centro ad una ripresa del movimento comunista e alla sua riorganizzazione fuori dal catechismo o dal politicismo trasformista che hanno caratterizzato, rispettivamente, le autoaffermazioni e le rifondazioni.

Scienza e tecnologia come funzioni del capitale
·      scienza e potere
·      la formazione e la ricerca asservite al profitto
·      il profitto contro la natura e l’uomo

Le sovrastrutture politiche nella mondializzazione
·      crisi dello Stato nazionale
·      crisi della rappresentanza e democrazia proletaria

Forme dell’organizzazione proletaria nell’epoca della mondializzazione
·      il nuovo internazionalismo
·      il “socialismo del XXI° secolo”
·      la questione sindacale
·      il partito

Raccomandiamo ai compagni, se concordano con questa impostazione generale e con questa “griglia” di lavoro, di inquadrare concretamente in esse le proprie proposte concrete di lavoro.
Aspettiamo voi o le vostre osservazioni e proposte per il 26 pv a Napoli.

Saluti comunisti.